"Tu mi complicherai la vita"
Feb. 22nd, 2020 10:27 pmWarning: Violenza
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Alex si acquattò dietro ciò che restava del muro, tappandosi la bocca con la mano, nel tentativo di smorzare il suo respiro affannoso e cercando di fare meno rumore possibile.
Quei dannati bastardi avevano un udito eccezionale, lo aveva imparato da tempo, quindi fece del suo meglio per restare immobile, sforzandosi di soffocare le proprie emozioni e sperando che loro non potessero sentire il suo cuore martellargli nel petto come un tamburo.
Mentre sbirciava attraverso una crepa in quella che, un tempo, era stata la parete di una bella villetta di periferia, per l'ennesima volta avvertì quella vocetta subdola provenire dal più remoto angolo della sua mente, che continuava a chiedergli se non fosse più facile farla finita.
Dopotutto, sarebbe bastato così poco.
Avrebbe potuto uscire allo scoperto e lasciare che facessero di lui il loro prossimo pasto.
Certo, sarebbe stato doloroso, ma era comunque una via di fuga dal delirio che lo circondava da più di un anno.
O avrebbe potuto prendere la sua pistola e usare uno dei pochi proiettili rimasti per farsi saltare il cervello, come avevano fatto molti altri... eppure quella “soluzione” gli sembrava quasi più terribile che farsi sbranare.
Lo terrorizzava l'idea del suicidio, nonostante il mondo fosse ormai andato bellamente a puttane.
Per quanto potesse sembrare assurdo, piantarsi una pallottola in testa richiedeva molto più coraggio che cercare di sopravvivere in quell'inferno, almeno dal suo punto di vista.
Dopo essersi concesso un attimo di autocommiserazione, l'uomo strinse gli occhi con forza e li riaprì subito dopo, ricacciando quei pensieri nel lato in ombra della sua anima, da dove provenivano, poi, resosi conto che aveva ricominciato a respirare normalmente, si tolse la mano dal viso.
Era stata una giornata delle peggiori, aveva passato ore in marcia, attraversando quella cittadina di provincia di cui ignorava il nome, alla ricerca di qualcosa di utile o di qualche altro essere umano, ma senza successo.
Tutto quello che aveva trovato era stato il cadavere rinsecchito di un cane sul ciglio della strada e una confezione di biscotti abbandonata sul sedile di un'auto, accanto a un seggiolino per bambini macchiato di sangue.
Si era costretto a non domandarsi che fine avesse fatto la famiglia che viaggiava su quella macchina, dato che i biscotti non erano troppo stantii e che il sangue sembrava ancora piuttosto fresco.
Sempre restando al riparo dietro il muro, Alex spostò il peso da una gamba all'altra, serrando le labbra per trattenere un gemito.
I muscoli gli bruciavano per lo sforzo sostenuto nelle ultime ore e la schiena lo stava uccidendo, nonostante fosse ormai abituato a vivere costantemente in movimento, e il suo più grande desiderio, ora come ora, era di riuscire a trovare un posto riparato dove nascondersi per la notte; aveva un disperato bisogno di dormire.
Improvvisamente, un rumore di passi proveniente dalla strada reclamò tutta la sua attenzione, così tornò a scrutare attraverso la fessura, maledicendo il sole che quella sera sembrava voler tramontare il più lentamente possibile.
Nella luce rossastra del crepuscolo, l'uomo vide due di loro avanzare in mezzo alla via, lentamente e con quell'aria persa che assumevano ogni sera, prima di cadere in quella specie di torpore che li coglieva quando calava il buio.
Il più grosso si trascinava dietro quello che sembrava un torso umano in decomposizione, tenendolo per un braccio, e lasciando sull'asfalto una scia disgustosa di sangue e brandelli di interiora; per qualche assurdo motivo, ad Alex ricordò una signora grassa a spasso con il proprio cagnolino al guinzaglio.
L'altro invece si limitava ad arrancare lentamente, il piede destro piegato in un angolo innaturale, probabilmente spezzato, guardandosi attorno con i suoi occhi completamente neri, la bocca semiaperta in una perenne espressione di animalesca stupidità.
L'uomo si immobilizzò, augurandosi che il vento fosse a suo favore e che loro non riuscissero a fiutarlo.
Ne aveva appena seminato uno, dopo una corsa estenuante, e non credeva di avere le forze per fuggire ancora... men che meno per combattere.
Fortunatamente, le due creature sembravano troppo intontite dalla penombra per accorgersi di qualcosa e si limitarono a proseguire lentamente lungo la strada, fino a sparire dietro l'angolo di un garage semi distrutto, poco più tardi.
Alex attese comunque ancora qualche minuto, per sicurezza, prima di rimettersi in piedi con fare guardingo, stando bene attento a controllare che tutto attorno non ci fosse altro in movimento.
Solo quando fu del tutto sicuro di essere da solo, riprese ad avventurarsi lungo il viale, alla ricerca di un posto dove passare la notte.
I primi mesi, aveva cercato rifugio nelle case abbandonate, un po' come tutti, ma non ci aveva messo molto a capire che era proprio nei posti più riparati che quei fottuti esseri andavano a rintanarsi durante le ore di buio, come bestie in letargo, in attesa dell'alba e pronti a ricominciare la caccia.
Si ammucchiavano tra loro, immobili come statue, sbavandosi addosso ed emettendo suoni talmente ripugnanti da impedire a chiunque di restare nei paraggi.
Quindi le abitazioni era ormai Off Limits, per quanto lo riguardava.
Proseguì per qualche minuto, fino a ritovarsi nei pressi di quello che aveva tutta l'aria di un vecchio parco giochi, che probabilmente era già messo piuttosto male prima che il mondo finisse in quel vortice di follia generale.
Nella luce che sia andava affievolendo sempre di più, mentre il sole si arrendeva alla luna nella loro giornaliera schermaglia, Alex notò non molto distante da lui uno di quelle costruzioni a foggia di castello, con tanto di scaletta e scivolo, su cui i bambini di solito si arrampicavano... in un'altra vita.
Era un agglomerato di tubi, plance di metallo e componenti di plastica che aveva sicuramente visto giorni migliori, ma era sollevato da terra e nella struttura centrale, che ricordava una torretta, avrebbe potuto riposarsi senza essere visto.
Con un pizzico di fortuna, avrebbe potuto dormire in santa pace per qualche ora, nascosto la dentro.
Raggiunse il “castello” quindi, stando attento a non fare troppo rumore e controllando che non ci fosse nessuno attorno, dopodichè salì prudentemente la scaletta che lo portò ad un paio di metri dal suolo e svicolò all'interno della zona riparata.
Le pareti interne del cubicolo erano ricoperte di graffiti, più o meno osceni, ed il pavimento era lercio, come era da aspettarci, dopotutto.
Ma la cosa non gli importava minimamente, era abituato a ben altro.
Rimase all'erta ancora per un po', sbirciando all'esterno in preda alla solita paranoia, fino a che il buio non calò del tutto, avvolgendo ogni cosa col suo manto.
Aperto il suo zaino, tirò quindi fuori la sua coperta logora e si approntò un giaciglio al meglio delle sue possibilità, posizionandosi in modo da guardare l'ingresso alla stanzetta improvvisata in cui si trovava.
Quelle bestie schifose non erano brave ad arrampicarsi e a salire le scale, per qualche motivo che sfuggiva alla sua comprensione, ma aveva imparato che spesso c'era da aver paura più degli altri sopravvissuti, che delle creature.
Imbracciò il suo fucile, quindi, e dopo aver trovato una posizione più o meno comoda, si convinse lentamente ad ignorare la temperatura che andava calando mano a mano, fino a che non riuscì a chiudere gli occhi.
Si addormentò come un sasso nel giro di un minuto, e scivolò, per una volta, in un sonno senza sogni.
Il che era una benedizione.
A svegliarlo non fù il tepore del sole ne i soliti versi animalischi che quegli essere emettevano al mattino, prima di riprendere la caccia.
No, si trattava di qualcos'altro, qualcosa di diverso.
Un suono distante, lamentoso, che ricordava una sirena in lontananza, quasi come se una donna stesse piangendo chissà dove.
Ci mise qualche secondo a svegliarsi del tutto, costringendosi ad aprire gli occhi e realizzando che non era ancora del tutto giorno.
Con un lamento, si tirò a sedere sul pavimento duro e sbirciò fuori, oltre i tetti della case circostanti, notando come avesse iniziato ad albeggiare.
Il cielo cominciava a tingersi di rosa e, se un tempo quella vista lo avrebbe probabilmente reso felice, ormai il giorno imminente non era altro che una minaccia.
Le creature avrebbero ripreso a vagare per le strade, di li a poco.
Di nuovo, il suono che aveva disturbato il suo sonno, si fece sentire, ma questa volta risuonò più chiaro e limpido di prima, visto che ora i suoi sensi non erano più annebbiati.
E questa volta, con suo sommo orrore, si rese conto di capire perfettamente di cosa si trattava.
Imprecò tra sé e sé, maledicendo la sua solita sfortuna e la sua innata capacità di ficcarsi sempre nelle peggiori situazioni, passandosi una mano sul viso: quello che risuonava nell'aria era, senza la benchè minima ombra di dubbio, il pianto di un neonato.
Alex attese, sperando che il pianto smettesse, che l'adulto assieme al bambino lo facesse tacere, che qualcuno si prendesse cura di quel piccolo essere umano che stava dando libero sfogo alla sua... fame? Paura? Dolore?
Non ne aveva idea.
E, tutto sommato, non erano affari suoi.
La sua parte razionale insisteva a ripetergli di sbrigarsi a raccattare le sue cose, per poi decidere che direzione prendere ed iniziare a muoversi prima che facesse giorno del tutto.
Ma nel mentre il pianto continuava a raggiungerlo, sempre più disperato.
Ricacciando la sua roba nello zaino, continuò a chiedersi perchè nessuno zittisse il bambino, dato che quel pianto ininterrotto avrebbe inevitabilmente portato le creature dritte da lui.
Ovviamente, una parte di lui sapeva benissimo il perchè, ma Alex stava facendo del suo meglio per ignorare ciò che era così terribilmente palese: probabilmente chiunque ci fosse assieme al bambino, non poteva aiutarlo.
Non poteva cullarlo.
Non poteva sfamarlo.
Non poteva mettergli una mano sul viso per farlo tacere.
Molto probabilmente, le pesone che si erano prese cura di lui, erano morte.
“Bè, al diavolo, non mi riguarda,” si disse, in un sussurro.
Cautamente, mentre i primi raggi di sole iniziavano a colorare il mondo devastato attorno a lui, Alex afferrò lo zaino e, dopo aver controllato la zona circostante, abbandonò la sicurezza del “castello” ed uscì allo scoperto, atterrando sull'erba incolta del parco giochi.
Rimase li in piedi, guardandosi attorno per un momento, decidendo il da farsi.
Il pianto, nel mentre, aveva iniziato a scemare.
Qualche strillo risuonava ancora, di tanto in tanto, come se il bambino fosse ormai esausto e stesse singhiozzando.
L'uomo serrò gli occhi per un secondo, in preda alla frustrazione.
Doveva fregarsene e andarsene per la sua strada, quella era l'unica cosa logica da fare.
Non era figlio suo.
Non conosceva quel bambino e, comunque, che vita avrebbe mai potuto avere, in un mondo come quello?
Sarebbe stata preferibile una morte rapida.
Eppure, più i secondi passavano, più cominciava a sentirsi in colpa.
Scosse il capo violentemente da un lato all'altro, nel tentativo di tornare a pensare lucidamente.
“Okay. Devo andarmene.”
La sua voce suonò risoluta, prima che si aggiustasse lo zaino sulle spalle, prendendo una bella boccata d'aria.
E poi...bestemmiò, girandosi ed incamminandosi nella direzione da cui proveniva il pianto, adesso sempre più fievole.
Ma chi voleva prendere in giro?
Non sarebbe mai stato capace di voltare le spalle a un neonato, lasciando che diventasse il pasto di quei dannati esseri: non sarebbe mai più riuscito a chiudere occhio, se avesse fatto una cosa simile.
Così, Alex si mosse rapidamente per addossarsi alla parete dell'edificio più vicino e prese a spostarsi verso la fonte del rumore, guardandosi attorno tutto il tempo e cercando di restare il più riparato possibile.
Non ci mise molto a rintracciare il luogo da cui proveniva il pianto, che a questo punto somigliava più al lamento di un gatto affamato che al verso di un essere umano.
Si ritrovò davanti alla saracinesca di un garage, non del tutto chiusa, abbastanza sollevata dal suolo da permettere a una persona (o a uno di quei fottuti cosi) di strisciare all'interno.
Alex si gettò un'occhiata apprensiva alle spalle, attento a qualunque segnale di movimento e sperando con tutta l'anima di non essere stato avvistato, visto che ormai il sole era arrivato a fare capolino oltre la schiera di villette.
Non poteva perdere troppo tempo, non poteva starsene li immobile, in piena vista.
Di nuovo, il bambino all'interno emise una serie di gorgoglii disperati e il pianto riprese con più intensità, quindi l'uomo alzò gli occhi al cielo e si inginocchiò, imbracciando il fucile, prima di piegarsi ulteriormente per sbirciare all'interno.
L'interno del garage era avvolto nella penombra, ma anche in quella poca luce, Alex individuò subito la sagoma di una persona ammucchiata in un angolo, esanime.
“Hey.”
Provò a chiamare, a voce non troppo alta, ma non ricevette nessuna risposta.
Accertatosi, per quanto possibile, che non ci fosse nessun altro in vista, con un sospiro esasperato, si decise finalmente a strisciare al di sotto della saracinesca, per poi rimettersi in piedi ed avvicinarsi all'angolo.
La donna che se ne stava accasciata la in fondo, era morta da ore, valutò, almeno stando all'irrigidimento del cadavere.
Alex abbassò lo sguardo sulla pozza di sangue attorno a lei e sullo squarcio che aveva sulla gamba sinistra, molto probabilmente un morso... se di un animale selvatico o di una creatura, non avrebbe saputo dirlo.
Ma era abbastanza chiaro che fosse morta dissanguata.
Tutta la sua attenzione, comunque, si spostò un attimo dopo, quando si voltò ad osservare il bebè avvolto in una copertina rosa, adagiato uno scatolone, sopra un mini frigo li accanto.
Il bambino aveva ormai il visetto paonazzo, a furia di disperarsi, e stringeva le manine in due piccoli pugni, agitando i piedi sotto la coperta.
Aveva due occhioni grandi e scuri, gonfi di lacrime e Alex dedusse che non poteva avere più di sei mesi o giù di li.
Si rimise il fucile sulla spalla, appeso alla sua cinghia, e tese le mani verso il frugoletto, con l'intenzione di sollevarlo, per controllare se fosse ferito o altro, prima di decide il da farsi.
Non appena sollevò il bambino, sostenendogli il capo con una mano e avvicinandoselo al corpo, il piccolo sembrò sgranare gli occhi, per osservarlo meglio e il pianto iniziò a diminuire.
Quasi come se, in qualche modo, avesse capito che lui era li per aiutarlo.
“E adesso che me ne faccio di te? Che diavolo ti do da mangiare?” Alex bofonchiò, fissando il bimbo.
Fu allora che, di colpo, gli tornò in mente l'auto che aveva trovato il giorno prima, a un paio di strade di distanza da li.
Il seggiolino macchiato di sangue, il borsono abbandonato sul sedile... forse quella macchina apparteneva alla donna nell'angolo?
Forse c'era qualcun altro con loro?
Tutte domande senza risposta.
Però, si disse, poteva tornare indietro e controllare nel bagagliaio e nella borsa sul sedile, alla ricerca di cibo e pannolini.
Certo, non sarebbe stato facile girare con il marmocchio in braccio.
Scappare e difendersi sarebbero diventati missioni quasi impossibili.
Di nuovo, si chiese chi mai glielo avesse fatto fare.
La scelta più logica sarebbe stata quella di abbandonare il bimbo al suo destino e continuare per la sua strada... ma ormai c'era dentro fino al collo, quindi era inutile piangere sul latte versato.
Quando, preso dalle sue valutazioni sul da farsi, avvertì improvvisamente qualcosa toccargli il viso, tornò a fissare il viso del bimbo, che nel mentre si era divincolato dalla coperta, scoprendo la tutina che indossa, e sulla quale era ricamato il nome “ROSE”.
La bambina aveva iniziato a toccargli il mento, stringendo la sua barba tra le dita grassottelle, del tutto presa dalla nuova attività.
Finalmente aveva smesso di piangere, se non altro.
“Quindi sei una signorina...”
Un altro sospirò gli sfuggì dalle labbra.
Le cose si sarebbero decisamente complicate, da quel momento in avanti...